POPULISMO E DECISIONISMO
(Aggiornato al 19/09/08)Salvate il Partito Democratico!
Cercasi giovani dirigenti...
in grado di coltivare con continuità il rapporto
con il territorio e la società, che sappiano rivalutare
le primarie come metodo vero e non fasullo per consultare
e selezionare la classe dirigente,che sappiano mantenere
un rapporto responsabile con gli elettori e gli iscritti, che siano competenti,rigorosi, autonomi,leali, umili e ambiziosi ...
Il sogno di Berlusconi si è infranto:
non quello di trovare un piano decente per salvare L'Alitalia, ma quello di scimmiottare la signora Thatcher dei minatori o il Craxi della scala mobile...ma non è finita qui, lui non accetta le sconfitte... aspettiamoci il prossimo colpo di teatro, questa volta per scimmiottare i recenti salvataggi dei suoi amici americani
Se la delusione genera consenso
(Ilvo Diamanti - La Repubblica)
E' un po' sorprendente che la delusione, tanto diffusa nella società, non produca sfiducia nel governo e, in primo luogo, nel premier. Eppure in passato aveva sempre funzionato l'equazione: più delusione meno consenso a chi governa. Tanto che la delusione era divenuta una fra le più efficaci tecniche di opposizione.
Complici i media, che ne hanno fatto un genere di successo, miscelando la delusione con altri sentimenti di largo uso, nel linguaggio comune. La paura, l'incertezza, l'inquietudine, l'insicurezza. Così, per restare a questo decennio, gli italiani delusi hanno punito, dapprima, Berlusconi e il centrodestra. Il quale ha perduto tutte le elezioni intermedie, dopo il 2001: comunali, regionali, europee. Tutte. Per riprendersi - e quasi a rivincere - nel 2006, dopo una breve e intensa campagna elettorale tutta protesa a deviare il corso della delusione verso Prodi e il centrosinistra. Suscitando sfiducia preventiva nei loro confronti. Come avrebbero potuto, gli elettori, soprattutto i più moderati, fidarsi dei comunisti, neo o ex non importa, e dei loro alleati? Quelli che avrebbero aumentato le tasse, anzitutto sulla loro casa; quelli che avrebbero aperto le porte ai delinquenti e agli immigrati: cioè, lo stesso; quelli che avrebbero allargato ancora lo spazio dello stato e ridotto quello del privato. Non ne avevano ... "paura"?
Argomenti riproposti, con successo, nella breve parentesi del secondo governo Prodi. Neppure due anni di navigazione faticosa e affaticata, poi il naufragio. Nelle acque torbide della delusione. A poco è servito il tentativo di Veltroni di voltar pagina, cancellare il passato. Un nuovo partito, una nuova strategia, da soli da soli! Opposizione senza pregiudizio e senza antagonismo, Berlusconi: avversario mai più nemico. Troppa la delusione retrospettiva. Al punto da rendere inutile e controproducente il tentativo di rimuovere il passato - insieme a Prodi.
Da ciò la vittoria schiacciante di Berlusconi, sopravvissuto alla delusione, emerso da un mare di delusione. E ora là, luminoso faro nella nebbia della delusione. Un sentimento che, sei mesi dopo il voto, non si è dissolto, ma, al contrario, continua a crescere. Una foschia grigia e densa. D'altronde, non ne va bene una. La crisi economica e finanziaria deborda. I prezzi sono fuori controllo. La paura della criminalità non flette. La fiducia nel futuro... da che parte sta il futuro? E poi, nessuna promessa mantenuta. Le tasse? Non caleranno. Alitalia? Affonda. Neanche nel calcio le cose vanno bene. La Nazionale ha perso gli europei. (Altro che ai mondiali del 2006, quando c'era Prodi ...).
Eppure, il rapporto fra il governo e il paese; fra Berlusconi e gli elettori non ne risente. Al contrario: i livelli di fiducia crescono. Piove, anzi, tempesta: governo virtuoso. Edmondo Berselli, su Repubblica, ha sostenuto questa inversione di tendenza vi sia l'affermarsi di una forma di comunicazione politica. Anzi di un "format". Interpretato, sulla scia del Cavaliere, maestro insuperato, da alcuni attori politici abili.
Anzitutto, Brunetta, il persecutore dei fannulloni annidati nel pubblico impiego. Poi, la Gelmini, domatrice dei professori e dei maestri, incapaci di educare e disciplinare i nostri figli. Maroni, difensore degli italiani dall'invasione minacciosa di stranieri e rom. Infine, perfino la Carfagna, alla caccia di prostitute e clienti, da punire direttamente sulla strada; Un format che comunica in modo semplice problemi complessi; personalizzando le paure e le crisi, attraverso bersagli facili da colpire, che riflettono il senso comune e spostano il flusso della sfiducia e della delusione lontano dal governo.
Così la maggioranza degli italiani, riconoscente, si stringe intorno al governo, che li difende dalla minoranza deviante: professori, maestri, statali, immigrati, puttane. E dai piloti e i sindacati, colpevoli del possibile fallimento di Alitalia. Loro, non la politica che ha governato - e retto - le sorti della compagnia di bandiera per anni, decenni. Oltre ogni ragionevole ragione. Loro, che, pochi mesi fa, apparivano vittime del disegno del centrosinistra di svenderli agli stranieri, insieme alla compagnia.
Tuttavia, oltre al format comunicativo del governo, c'è un'altra spiegazione. E' che ci siamo abituati, assuefatti alla delusione. Non la consideriamo uno emergenza, di cui ha colpa, anzitutto, chi manovra le leve di governo. Ma una situazione normale, per quanto sgradevole. Come la nebbia in val padana d'inverno e le zanzare d'estate. Gli italiani: non possono non dirsi delusi. A prescindere. Perché nessuno, è stato capace di sanare i bilanci, abbassare le tasse, rilanciare l'economia, ridurre la paura della criminalità. E se anche avvenisse, non ce ne accorgeremmo. D'altronde, anche se i crimini sono diminuiti, la paura è cresciuta lo stesso. E se il tasso di criminalità in Italia è tra i più bassi d'Europa, noi restiamo il paese europeo più impaurito e deluso. Il più sfiduciato. Chiunque ci governi. Berlusconi o Prodi.
Per cui, dopo aver provato, invano, a invertire la rotta con il voto, cambiando governo e maggioranza, gli italiani si sono rassegnati. Così, oggi che la delusione è penetrata dovunque: nelle case, nelle famiglie nei vicoli, nei programmi tivù, negli indici di borsa che sembrano bollettini di guerra, nelle stime dei mercati, della produzione e dei consumi: oggi che la delusione è dappertutto, gli italiani hanno smesso di considerarla un accidente. La considerano una perturbazione durevole, uno stato di necessità. Che non è il caso di imputare a qualcuno. D'altronde, chi c'era prima ha fatto di meglio? E' riuscito a darci fiducia? A renderci felici? Allora, inutile ritorcere la nostra rabbia, la nostra delusione, su chi governa oggi. Teniamocelo. Accontentiamoci. Tanto più se riesce a consolarci e a offrirci capri espiatori, a suggerirci che non è colpa nostra (né tanto meno sua).
Ma se la delusione non costituisce più uno strumento di delegittimazione del governo, né un metodo di opposizione, allora - scusate la tautologia - per fare opposizione la delusione non serve. Non solo, ma diventa dannosa. Un boomerang.
Per fare opposizione occorrerebbe, al contrario, spingere la delusione più in là. Generare speranza, non nuove illusione. Ma la speranza è un attributo del futuro. E il futuro, per ora, è solo una speranza. Pardon: un'illusione, che in pochi si ostinano a coltivare.
(19 settembre 2008)
EUROPEE: D'ALEMA, BERLUSCONI VUOLE LEGGE DI PARTE
(News da La Repubblica)
Con la nuova legge elettorale per le europee con sbarramento al 5 per cento e liste bloccate "Berlusconi manipola le regole della democrazia per fini personali e di parte. In questo rivela una cultura profondamente antidemocratica, una cultura autoritaria da padrone delle ferriere". Lo ha detto Massimo D'Alema, a Omnibus su La7, e ha aggiunto: "Non si capisce proprio perche' si debba imporre a livello europeo una soglia piu' alta di quella che c'e' a livello nazionale. E' una decisione che risponde a un'esigenza di parte: Berlusconi vuole punire l'Udc". Quanto poi all'abolizione delle preferenze, per D'Alema e' "una brutale sottrazione di potere ai cittadini. E' intollerabile il restringimento democratico: ci sono poche persone che decidono tutto, che formano le assemblee elettive e in questo modo i cittadini si allontaneranno sempre di piu' dalle istituzioni". Anche qui, secondo l'esponente Pd, a prevalere sono gli interessi particolaristici del premier: "Si trova alla testa di un partito che non e' un partito, ma un assemblaggio di forze diverse e teme che con le preferenze il conflitto fra queste diverse anime si manifesti alla luce del sole. Cosi' vuole decidere lui, perche' questo gli consente dall'alto di garantire le quote di una spartizione decisa a tavolino
Il populismo e decisionismo del Governo Berlusconi provoca altri disastri:
Che cosa possiamo aspettarci da un partito in cui convivono ex socialisti che dicono di esprimere una politica di sinistra, ex comunisti come Bondi che richiama il pensiero di Antonio Gramsci come riferimento culturale, ex radicali che vedono uno spazio per esprimere liberalismo e laicismo, esponenti di Comunione e Liberazione che ritengono invece che quel partito sia in sintonia con i vescovi, Alemanno e La Russa che richiamano la «parte buona» del fascismo? Il tutto mediato da un padre padrone che vorrebbe accontentare tutti. E che da grande imbonitore e mestierante, che sa essere in sintonia con la maggioranza del paese, trova la soluzione: efficacissimi e frequenti spot mediatici, cui corrispondono realizzazioni poco efficaci, spesso pasticciate e dal sapore di bufala. Più o meno il contrario di quanto ha fatto il centro-sinistra. Ma il popolo ora abbocca e a noi non resta che meditare ...con rabbia. Seguono esempi:
Giovane ucciso a sprangate a Milano:
vi immaginate le strombazzature delle TV,dei giornali e di certi politici se in questo tragico evento si fossero invertite le parti?
Alitalia: premi e favori per le cordate amiche , prendere o lasciare per i lavoratori:
Premi alle cordate : Infrangendo e cambiando a piacimento regole, ripristinando condizioni di monopolio, dando alla cordata il vantaggio dell’esclusività e la possibilità di realizzazione forti plusvalenze nel futuro; salvataggio Air One
Colpire i lavoratori: seimila esuberi, piloti dimezzati , retribuzioni tagliate del 25 per cento, comprese quelle da milleduecento euro; a carico della comunità, cioè di tutti i lavoratori italiani, un miliardo e mezzo di passività pregresse della compagnia
Il celebrato superministro Tremonti, ignorando il problema contratti, ha dimostrato di essere uno sprovveduto, provando a rifilare una bufala del genere...
Gran finale con l'intervento del Pifferaio Decisionista : " Ci penso io".
Forse ci sarà il lieto fine, ma per chi? Per gli amici della cordata che si vedranno rincarare ancora gli extra per concedere qualcosa,forse per i piloti e gli assistenti,agli altri verranno lasciate le briciole.
I sudditi allocchi,alleggeriti nelle tasche, ipnotizzati dalla tolleranza zero ( ma che di fatto produce risultati fasulli), applaudiranno incantati...
DDL Carfagna (Prostituzione): ancora uno Spot ingannevole
Lo spirito della legge non è quello di limitare la prostituzione, ma permetterla solo nei luoghi chiusi
ed eliminarla dagli occhi della gente.
Di fatto far credere che è stata debellata.
Vizi privati e pubbliche virtù.
In sintonia con molti loro elettori.
Destinatari, ancora una volta di un’ipocrita gratificazione di questo Governo.
La Ministra da Calendario (ma non le fanno schifo quelle che fanno commercio del proprio corpo?!) si è inventata una legge che non manderà in carcere nessuno, ma intaserà la macchina giudiziaria, moltiplicando e creando inutili processi.
Mentre i veri problemi di questo paese: stipendi, pensioni, sviluppo, prezzi, lavoro, precari
diventano di bassa priorità,se non sistematicamente ignorati.
Ecco la nuova lotta di classe
(Piero Ignazi - L'Espresso)
A combattere non sono più gli 'ultimi' ma i 'primi' sostenuti dal governo di Berlusconi Giulio Tremonti. Quando si pensa alla lotta di classe si immaginano folle di tute blu vocianti o moltitudini di contadini scalcagnati e scamiciati - ma anche composti e dignitosi come nel celebre quadro di Pellizza da Volpedo - che sfilano per rivendicare pane e lavoro. Questa immagine è sbiadita come una vecchia fotografia, rimanda ad un mondo antico di cui si stanno perdendo le tracce. Non ci sono più quegli attori: il proletariato si è sfrangiato in mille componenti diverse e gli 'ultimi' della società riflettono un caleidoscopio di etnie, costumi e culture che non può certo essere ricompattato in una classe sociale omogenea.
Ma se si è dissolta la lotta di classe fatta di scioperi e picchettaggi che aveva nel proletariato la sua spina dorsale, non per questo è scomparsa. Si è spostata di 180 gradi. Ha subito una rivoluzione copernicana. Non è più condotta dagli 'ultimi', bensì dai 'primi'. Sono i detentori delle risorse economiche e politiche che prendono l'iniziativa per mantenere e rafforzare le posizioni acquisite a discapito degli altri. L'offensiva non passa più per le antiche vie contrattuali, sempre meno rilevanti in termini numerici e sempre più residuali per definire i rapporti di forza (anche se il tentativo di scardinare la contrattazione collettiva a favore di una contrattazione individuale indica una precisa linea di attacco), bensì per l'iniziativa pubblica, per il matrimonio d'interesse tra corporazioni economiche e potere politico celebrato dal governo Berlusconi.
Lo si è visto con uno dei primi provvedimenti del governo di centro-destra. Uno dei tanti, ma esemplare per la sua precisione chirurgica: l'eliminazione della tracciabilità degli onorari dei liberi professionisti, strumento efficace di contrasto all'evasione e al riciclaggio introdotto dal governo Prodi.
Il messaggio non poteva essere più chiaro: sappiamo chi sono 'i nostri' e interveniamo subito in difesa dei loro interessi. E, specularmente, sappiamo chi sono i 'nemici': i lavoratori dipendenti, soprattutto del settore pubblico, che votano a sinistra. Contro di loro si è scatenata una offensiva tambureggiante puntando sulla delegittimazione morale al punto da affibbiare loro l'etichetta di 'fannulloni'. Non basta. Mentre il ministro dell'Istruzione - che non sa nulla di scuola e università ma in compenso ha guadagnato l'avvocatura a Reggio Calabria - decreta l'espulsione di decine di migliaia di insegnanti (ovviamente dei fannulloni) negli Stati Uniti i candidati alla presidenza fanno a gara a chi promette più interventi nel sistema educativo e Barack Obama arriva a dichiarare testualmente alla Convention democratica che "arruolerà legioni di insegnanti pagandoli meglio anche a costo di aumentare le tasse".
Tutto questo perché nel sistema americano si crede ancora nell'istruzione, nella conoscenza e nella competenza come veicoli di successo professionale, mentre da noi la cultura, e chi lavora nel mondo dell'educazione, sono trattati con sufficienza e mal sopportati, come un orpello inutile. In fondo basta essere una bella soubrette per diventare ministro, perché consumarsi gli occhioni sui libri e al computer? Questo è il vero messaggio, subliminale e quindi autentico, della nomina di Mara Carfagna. Il resto è accessorio.
La lotta di classe impostata dal governo ha un obiettivo preciso: scardinare quel poco che è rimasto della classe operaia sindacalizzata, peraltro priva di una guida all'altezza della sfida, difendere i lavoratori autonomi da ogni meccanismo regolativo e fiscale per riprendere la redistribuzione del reddito a loro favore avviata nel precedente governo Berlusconi (e incautamente ammessa anche dallo stesso superministro Tremonti) e, infine, spremere il ceto medio per compensare i benefici alle altre componenti sociali - e per chi abbia dubbi in proposito basta leggere l'intervento, inquietante per usare un eufemismo, di Laura Pennacchi, 'Un decisionismo (poco) compassionevole', sull'ultimo numero della rivista 'il Mulino'.
La difesa degli interessi corporativi implica un drenaggio di risorse dal lavoro dipendente, perché se si toglie l'Ici alle case dei ricchi, si abbandona la lotta all'evasione fiscale (il crollo del gettito dell'Iva sta a dimostrare come il lavoro autonomo si sia immediatamente adeguato al nuovo clima), si rifinanziano i progetti faraonici come il ponte sullo stretto, e si fanno pagare a noi cittadini, anzi ai 'tax-payers' come si dice nei paesi anglosassoni, le perdite dell'Alitalia lasciando i profitti agli happy few, in qualche modo bisogna trovare i soldi. È per questo che il governo si schiera in prima fila a fianco degli interessi corporativi contro il lavoro dipendente in una nuova versione della lotta di classe.
(12 settembre 2008)
Populismo e il passato che ritorna
(GIAN ENRICO RUSCONI - LA STAMPA)
I l Paese ha perso l’orientamento. Nessuno lo rappresenta più davvero. Testarde fazioni politiche contrapposte tengono in ostaggio la politica.
Il ceto degli intellettuali si è dissolto in singoli individui o in piccoli gruppi. Non solo ha perso valore la qualifica di destra o sinistra, non ci sono più conservatori e progressisti, ma si è smarrito il senso di ciò che tiene insieme questo Paese. Nessuno sa più dirne le ragioni, in modo convincente per tutti, pur facendo attenzione alle legittime differenze.
La storia nazionale è impunemente sequestrata da dilettanti e mistificatori. Ormai si può dire tutto su tutto - dall’8 settembre al terrorismo delle Brigate Rosse. Ciò che importa è il rumore mediatico che copre ogni altra voce e può contare sulla spossatezza degli studiosi seri. La serietà è diventata noiosissima in questo Paese: è intollerabile e incompatibile con il talk show permanente.
C’è in giro una pesante aria decisionista. A parole almeno. Comincia dai vertici dei ministri, indaffarati a fare proclami, cui non sappiamo che cosa davvero seguirà. Colpisce l’irresponsabilità e il dilettantismo di ministri che parlano (pensando in realtà soltanto ai media) come se tutto dipendesse dalle loro parole.
Come se la scuola - per fare un esempio - non fosse una grande complessa istituzione tenuta in piedi da migliaia di professionisti che hanno una loro competenza ed esperienza, di cui tener conto. No. Sono trattati come zelanti esecutori di decisioni calate dall’alto.
Ma da dove è spuntata fuori questa classe ministeriale? Da quale cultura? Dalla destra storica liberale? Dal fascismo riciclato democraticamente? No, per carità - si obietta subito -, non incominciamo con le genealogie ideologiche. Ciò che conta è «fare ordine» contro il «disordine della sinistra» - come dice il Cavaliere.
Mettere ordine, ripulire, punire, comandare. Se è il caso, mettere in galera clandestini, teppisti di stadio, prostitute di strada. Come se fossero la stessa cosa.
Naturalmente una società ordinata e sicura è un valore collettivo. E non finiremo mai di rimproverare la sinistra per essersi fatta scippare per malinteso «buonismo» questo valore. Per questo motivo non solo ha perso le ultime elezioni, ma adesso ha perso anche la testa. Infatti non sa più come reagire. A ogni iniziativa «d’ordine» ministeriale o governativa, balbetta e si divide.
Ma quali sono i valori della nuova destra populista che pretende di essere innanzitutto pragmatica, anti-ideologica? A prima vista sono i valori tradizionali di «Dio, patria e famiglia». Naturalmente al posto di Dio oggi si preferisce parlare di «radici cristiane»; l’idea di patria richiede qualche aggiustamento critico; soltanto la famiglia sembra mantenere le vecchie connotazioni. Ma è una pura finzione, se guardiamo ai comportamenti reali e non alle dichiarazioni fatte «per compiacere la Chiesa» (parole di Berlusconi).
In realtà la vera chiave della cultura politica di oggi è nel termine di «populismo» che va inteso non in modo generico, ma appropriato. Il populismo democratico ha quattro ingredienti: un popolo-elettore che tende a esprimersi in uno stile tendenzialmente plebiscitario con un rapporto di finta immediatezza con il leader; la dominanza di una leadership personale, gratificata di qualità «carismatiche»; un sistema partitico semplificato con un ricambio di élite politiche che è di supporto immediato al leader; il ruolo decisivo e insostituibile dei media allineati. Sottoprodotti di questa situazione sono la iperpersonalizzazione della politica e la sua spettacolarizzazione.
Gli elettori scelgono o si orientano al leader con aspettative di tipo decisionistico, per l’insofferenza verso le eccessive mediazioni parlamentari e le corrispondenti differenziazioni partitiche.
Da qui l’attivismo cui assistiamo quotidianamente. E le misure populistiche fatte appunto per soddisfare un immediato desiderio di ordine: contro la violenza di stadio come contro la prostituzione, indifferentemente.
Questo trattamento cui è sottoposto il Paese ha un costo alto: l’assenza di una vera soluzione dei problemi più gravi e strutturali (dalla giustizia alla scuola) che non possono essere risolti in stile populistico-decisionistico. È necessaria infatti una strategia capace di grande vero consenso, che è compatibile con le regole democratiche della maggioranza/minoranza. Altrimenti il paese si spezza nel profondo. Perde l’orientamento. È quanto sta accadendo.
Esattamente quindici anni fa molti di noi si sono chiesti se non cessassimo di essere una nazione. Allora c’erano le prime aggressive provocazioni antinazionali della Lega, i forti timori per una globalizzazione appena scoperta e la nuova inattesa visibilità degli immigrati. Al confronto di oggi quei problemi erano relativamente controllabili. Quello che non era prevedibile invece era l’implosione interna della nazione cui assistiamo oggi. Sì, forse, stiamo cessando di essere una nazione.
Segnaliamo link che offrono contributi positivi per cambiare il Paese e il PD:
http://tuttopuocambiare.it/
Riceviamo e pubblichiamo:
Caro amico, cara amica
ti scriviamo per segnalarti una iniziativa che può apparire questione tecnica di procedure interne di partito ma che, come spesso accade, nasconde questioni di grande sostanza. In questo senso va ricordato che le primarie sono "la procedura" su cui il PD ha costruito, con legittimo orgoglio, la sua identità.
I primi delegati regionali, Giovanni Bachelet della Direzione del PD, e soci fondatori del PD hanno aderito alla iniziativa. Con questo messaggio invitiamo anche voi ad aderire e a far circolare questo messaggio.
In breve, nel Lazio, entro la fine di settembre, una commissione appositamente istituita, sottoporrà alla assemblea regionale del Partito Democratco una bozza di statuto da votare.
Noi crediamo che questa sia una buona occasione per correggere alcuni degli errori commessi in questi mesi nella costruzione del Partito Democratico. Già dalla prima assemblea nazionale di Milano, è diventata prassi consolidata quella di sottoporre a votazione documenti e dispositivi concepiti in luoghi ristretti e senza alcuna partecipazione. Allo stesso modo è divenuto prassi consolidata definire in anticipo e, ancora, in luoghi separati e non completamente trasparenti, i nomi dei dirigenti che poi vengono votati in assemblea. Questo senza alcuna possibilità di competizione e in aperto contrasto con la contendibilità degli incarichi stabilita nello statuto nazionale. La mancanza di trasparenza si è già più volte tradotta in mancanza di efficienza, come dimostrato nei due appuntamenti, prima nazionale e poi regionale, programmati per 2 giorni e poi ridottisi a 1 giorno con danno d'immagine, interno ed esterno, per tutto il paritito.
Gli statuti regionali hanno la possibilità di rilanciare la partecipazione e la trasparenza inserendo norme integrative delle disposizioni generali contenute nello statuto nazionale.
Se vogliamo che il Partito Democratico sia davvero una grande operazione di rinnovamento della politica, allora una autentica circolazione della informazione è la base per sbloccare vecchie prassi, trasferire potere ai cittadini, ridare vigore alla democrazia.
La lettera che trovi in
http://pd4c.wordpress.com/
cerca di dare corpo a queste riflessioni.
Ti chiediamo di firmarla per non smarrirsi e riprendere la strada del 14 Ottobre 2007, per costruire quel Partito Democratico che cambia dentro per cambiare l'Italia.
Giuliano Buceti, Alessandro Gallo
Perché non avremo mai
un Obama o un McCain
(ILVO DIAMANTI - LA REPUBBLICA)
UNA PERSONALIZZAZIONE impersonale e irresponsabile caratterizza la politica italiana. Una democrazia mediatica, affollata di volti e nomi noti e visibili. Che, tuttavia, ha ridotto e quasi abolito la possibilità, per gli elettori, di esprimere scelte e preferenze "personali". Visto che ormai la costruzione delle rappresentanze politiche e parlamentari è un fatto praticamente esclusivo dei partiti, ridotti a cerchie di gruppi dirigenti ristrette e centralizzate. Eppure, quasi vent'anni fa, la storia era cominciata diversamente. La crisi del sistema politico era stata sancita, è vero, dal referendum del 1991, che riduceva le preferenze elettorali a una sola.
Ma si trattava, allora, di ridimensionare un sistema partitocratico, nel quale le preferenze costituivano uno strumento di controllo della società e, al tempo stesso, un elemento di scambio fra gruppi di potere. In seguito, siamo passati a sistemi elettorali che personalizzano il rapporto fra elettori ed eletti. Anzitutto a livello locale, con l'elezione diretta dei sindaci, dei presidenti di Provincia e, quindi, di Regione. Un rapido processo di presidenzializzazione diffusa, che il sistema elettorale della Camera e del Senato ha assecondato attraverso il maggioritario di collegio, che rende più immediato e trasparente il rapporto tra i parlamentari, i cittadini e il territorio.
Quel modello, ne siamo consapevoli, non ha ridotto la frammentazione dei partiti, tanto meno il distacco fra sistema politico e società. Ha, tuttavia, segnato una frattura, almeno a livello simbolico. Partiti contro presidenti. Riassunto dell'opposizione fra vecchio e nuovo, come ha osservato Mauro Calise.
D'altronde, i partiti si sono, anch'essi, personalizzati tutti. Dal 1994 ad oggi. Dall'archetipo insuperato, Silvio Berlusconi, fino a Walter Veltroni. Da Forza Italia all'Ulivo. Dal Partito democratico al Popolo della libertà. Passando per le diverse liste. Per limitarci alle principali: Lista Pannella e Bonino, la Lista di Pietro. Ma anche Alleanza nazionale, prima di confluire nel Pdl, nonostante disponesse di identità e organizzazione, era un soggetto identificato con il suo leader, Gianfranco Fini. E nell'Udc, ormai, la C evoca l'iniziale di Casini.
La personalizzazione è, ovviamente, enfatizzata dall'uso dei media. La televisione, in particolare, ha dato ai partiti un volto, un'immagine familiare. Anche in questa fase. I ministri più popolari appaiono al pubblico personaggi caratterizzati, che recitano in fiction di successo. Due sopra tutti. Brunetta, il vendicatore dei cittadini contro i servi fannulloni dello Stato (gli statali, appunto).
Mariastella Gelmini, protettrice dei genitori e degli alunni dagli insegnanti incapaci; restauratrice delle virtù perdute: la buona condotta, i buoni costumi (i grembiulini), i buoni maestri (unici). Mentre, all'opposizione, incontra un successo larghissimo Antonio Di Pietro, che interpreta il garante della legalità contro ogni abuso della politica; e anzitutto contro Berlusconi (che ne è il compendio). Ma anche Beppe Grillo. Attore protagonista della protesta di piazza.
Passando dal versante della partecipazione a quello della comunicazione, occorre rammentare che la costruzione del Partito democratico e, prima, dell'Ulivo, è avvenuta attraverso le primarie. Un rito di massa per celebrare la scelta del leader. Prodi, Veltroni.
Tuttavia, da qualche tempo, la personalizzazione della politica avviene insieme alla spersonalizzazione della scelta di voto. Imposta, per quel che riguarda le elezioni politiche, dalla legge elettorale in vigore dall'autunno 2005. Un proporzionale con premio di coalizione e liste bloccate. Cioè: senza preferenze.
La legge, inventata in fretta dal centrodestra al fine di contrastare il successo annunciato del centrosinistra (particolarmente avvantaggiato dal maggioritario), ha, nei fatti, rafforzato le leadership centrali di "tutti" i partiti. Consentendo loro di controllare e condizionare le candidature e, quindi, gli eletti. Mentre ha spezzato il legame dei candidati con gli elettori. Tanto che i candidati sono quasi spariti dal territorio, nel corso della campagna elettorale, limitandosi, perlopiù, ad apparire accanto ai leader nazionali, durante le manifestazioni più importanti.
Il problema avrebbe dovuto e potuto essere ridimensionato attraverso il ricorso alle primarie. Che, tuttavia, è divenuto molto intermittente. Quasi assente. Anche il Partito democratico ha usato le primarie con cautela. Evitando, comunque, di renderle troppo aperte e competitive. A livello nazionale, d'altronde, sono servite all'investitura di leader pre-destinati.
Mentre l'elezione dell'assemblea costituente e degli organismi rappresentativi a livello territoriale è stata vincolata dall'esigenza di garantire l'equilibrio tra componenti oltre al controllo (e al mantenimento) dei gruppi dirigenti. Anche nella scelta dei candidati alle amministrative (sindaci o presidenti), le primarie vengono guardate con diffidenza e trattate con prudenza. Impossibile che emergano outsider. Un Obama o un McCain de noantri. Inutile attenderli.
La questione si ripropone, oggi, in relazione al sistema elettorale che si sta progettando in vista delle prossime elezioni europee. Prevede, com'è noto, una soglia di sbarramento (3-4 per cento), per ridurre la frammentazione. Inoltre, un numero più ampio di circoscrizioni. Infine: l'abolizione delle preferenze. Su cui non c'è accordo. Ma che, indubbiamente, non dispiace - anzi, piace - ai partiti, in generale. Anche ai maggiori: Pdl e lo stesso Pd. In quanto permette loro di regolare e distribuire, con precisione algebrica e senza rischi, i posti tra le componenti (sotto)partitiche. An e Fi, da un lato. Ds e Margherita, dall'altro. Che ancora resistono e agiscono. Accanto ad altre correnti.
Vorremmo ribadire che non siamo tifosi delle preferenze. Abbiamo memoria di quando costituivano un metodo di scambio clientelare. Però insospettisce la paura che suscitano nei partiti, oggi che non hanno più basi di massa e sono ridotti a ristrette cerchie di vertice. Il contrasto tra l'enfasi sulla personalizzazione e la crescente spersonalizzazione del voto riassume quanto sia fittizia, oggi, l'opposizione fra partiti e presidenti. Visto che i presidenti identificano partiti "chiusi", la cui classe dirigente si riproduce in modo endogamico. Al proprio interno. Senza competizione; ma, semmai, per cooptazione, dall'alto.
Questo modello, peraltro, è coerente con la biografia del centrodestra. Inventata, scritta e interpretata da un Sovrano: Silvio Berlusconi. (Se ne è discusso molto nel recente convegno della Società italiana di scienza politica, all'Università di Pavia). Ma il centrosinistra e, soprattutto, il Partito Democratico - per storia, cultura e sociologia - non hanno prospettive senza coltivare il rapporto con il territorio e con la società. Senza rivalutare le primarie come metodo "vero" di consultazione e di selezione della classe dirigente. Senza dare agli elettori la possibilità di esprimere - in nessun modo - le loro preferenze personali. Senza vincolare gli eletti a un rapporto responsabile con gli elettori. Meglio che il Pd ci pensi, in vista delle prossime elezioni europee. Che, come sempre, avranno anzitutto effetti politici "nazionali".
(7 settembre 2008)
postato da pd.montagnola