Circolo della Montagnola






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lunedì 12 maggio 2008

RASSEGNA STAMPA : UN ARTICOLO AL GIORNO

Qui si è perso il territorio
(Edmondo Berselli - L'Espresso)


Non c'è solo la frattura Nord-Sud ma anche quella città-provincia. Ecco perché il Pd dovrà federalizzarsi.

A mano a mano che si approfondiscono le analisi del voto, le elezioni del 13 e 14 aprile rivelano sfumature nuove. Uno degli aspetti più interessanti è la differente prestazione del Partito democratico nelle aree metropolitane e nella provincia. Si tratta di una situazione 'americana': come i democratici negli Stati Uniti, il Pd è il partito delle città, anche nel Nord leghista. Il suo messaggio raggiunge i ceti qualificati, penetra nell'universo della popolazione a elevato livello di istruzione, mobilita settori rilevanti del lavoro dipendente qualificato e ad alto reddito.

Il che complica l'analisi. Vale a dire che non esiste soltanto una frattura sociale, politica ed economica sull'asse Nord-Sud, che prossimamente potrebbe far sentire i sui effetti nelle relazioni interne all'alleanza berlusconiana (come farà il Cavaliere a tenere insieme il federalismo fiscale nordista di Umberto Bossi e le clientele meridionali del siciliano trionfante Raffaele Lombardo?). Esiste anche una classica frattura fra città e non-città, fra assetti metropolitani e provincia. I nostri democratici, a cominciare da Walter Veltroni, riescono a farsi intendere nei centri maggiori, dove l'apertura delle classi sociali più dinamiche trova il modo di reagire agli esiti contemporanei della globalizzazione con creatività e ricerca di competitività. Invece la provincia è terreno di conquista del centrodestra; nelle regioni settentrionali ha successo il proselitismo leghista, con il lavoro davanti alle fabbriche, con i gazebo vicini alle polisportive e nei bar delle bocciofile.

Questa distinzione è inevitabilmente approssimativa, ma chiarisce almeno una delle ragioni dell'affermazione della macchina berlusconiana. Anche se in modo incerto, il Pd ha cercato di accreditarsi come un partito modernizzante, capace di intercettare la spinta di un'Italia che non accetta di restare ai margini dell'Europa
. Nello spirito del partito di Veltroni c'è l'accettazione del mercato e della concorrenza come contesti in cui si esprime il merito, cioè una forma attualizzata di perseguimento dell'eguaglianza. Ma se nella metropoli diffusa e anche nella "megalopoli padana" appena descritta da Giuseppe Berta nel suo libro 'Nord' questo messaggio è stato raccolto, c'è tutta una fascia territoriale in cui le conseguenze della globalizzazione vengono osservate con inquietudine.

Per questo nelle aree non metropolitane ha successo il modello costruito empiricamente da Silvio Berlusconi, con l'ausilio intellettuale di Giulio Tremonti. Il Pdl e la Lega si caratterizzano come il soggetto di una 'modernizzazione reazionaria', che tende a marginalizzarsi rispetto ai grandi flussi della globalizzazione, ma offre una rassicurazione ai ceti intimoriti dalla violenza del cambiamento. Forza lavoro operaia messa in crisi dalle ristrutturazioni aziendali, piccole imprese sballottate dal mercato, pensionati intimoriti dalle tendenze inflazionistiche e dal problema della sicurezza quotidiana, ceti medi insofferenti del degrado urbano, tutti trovano una risposta alla propria condizione di 'uomini spaventati' (secondo una definizione di Ilvo Diamanti).

Per certi versi, questo rende ancora più difficile il ruolo del Pd. Perché fare breccia nelle frange modernizzanti della società italiana è tutto sommato agevole. Ma per contendere il consenso alla Lega e al Pdl sul territorio occorre qualcosa che al momento il Pd non ha. Cioè una presenza quotidiana sui luoghi, nella vita delle persone, nelle realtà di incontro sociale. Le elezioni hanno mostrato che non sembra possibile né condurre una campagna tutta basata sull'idea e la struttura del partito leggero, cioè mediatico e quindi volatile, né il ritorno volontaristico al lavoro politico capillare come faceva il vecchio Pci.

Ma se oggi la politica risulta modellata, plasmata in profondità dal territorio, cioè dalla dimensione geografica e spaziale, occorre agire presto per 'territorializzare' l'iniziativa politica. Questo può essere realizzato mobilitando le risorse migliori e più efficienti, dal sindaco di Torino Sergio Chiamparino al sindaco di Salerno Vincenzo De Luca, e chiedendo alla rete istituzionale un coordinamento, una rete nuova di competenze messe in comune. Ma forse è venuto anche il momento di pensare a un partito federalizzato, il Pd del Nord, del Centro e del Sud, con strutture innovative e leadership territoriali che affianchino e sostengano il leader centrale. Pier Luigi Bersani a Milano, Enrico Letta a Firenze, Massimo D'Alema per le regioni meridionali. Che sarebbe anche una buona idea per ridimensionare, mettendole sotto controllo, la questione settentrionale, la questione romana e la questione meridionale.
(24 aprile 2008)


Dov'è finita la sinistra?
(Lucio Caracciolo - LEspresso)



In Europa i socialisti rimangolo al governo solo in Spagna. Una situazione dovuta all'assenza dei grandi obiettivi ormai ottenuti alla fine del secolo scorso dalle socialdemocrazie europee.

Se restiamo alla superficie, constatiamo che della sinistra di governo europea non resta molto, dopo le batoste in Italia e in Gran Bretagna. Fra i grandi paesi europei, solo la Spagna è retta dai socialisti. In Germania la Spd, per quanto in crisi profonda, partecipa alla grande coalizione come azionista di minoranza. Dobbiamo dedurne che la sinistra europea ha esaurito la sua spinta propulsiva, come si sarebbe detto qualche anno fa? E che cosa ne consegue?

A scavare leggermente più a fondo, sotto l'affresco fin troppo mediatizzato delle recenti sconfitte elettorali - e fatte salve le notevoli differenze fra i diversi contesti - si scopre una trama meno univoca. Sullo sfondo, la ragione prima delle difficoltà delle sinistre, almeno di quelle riformiste: il Novecento si è chiuso sulla loro vittoria. I diritti di base dei lavoratori, la democrazia, lo Stato sociale, le libertà civili, sono realtà più o meno affermate nell'Europa occidentale. Dopo la fine della Guerra Fredda, fra molte contraddizioni, si stanno consolidando almeno in alcuni degli ex satelliti europei di Mosca. Non è facile - anzi è impossibile - reinventare un altro set di obiettivi paragonabili a quello per cui generazioni di militanti progressisti si sono dedicate da oltre un secolo.

Ha ancora senso, dunque, la sinistra? Non è una grandiosa ma ormai esausta pianta, che ha dato quanto poteva? Negli ultimi dieci-vent'anni molte persone culturalmente e biograficamente di sinistra sembrano essersene convinte, anche se non tutti lo confessano. Soprattutto ne sono convinti alcuni leader politici della sinistra, o almeno da essa provenienti. Per i quali si tratta di dichiarare chiusa la grande stagione novecentesca della socialdemocrazia e degli altri riformismi (comunismo italiano, entro certo limiti, compreso), inclusi i partiti strutturati sul territorio, di massa e con un forte grado di democrazia interna che quella vicenda hanno segnato.


Che cosa resta? Una politica molto leggera, fatta di riferimenti ecumenici, in cui termini come 'socialismo' o persino 'sinistra' sono banditi perché compromettenti. Non sufficientemente universali. Una politica a tutto spin. Che ha abbandonato una radicata cultura politica non per fondarne una nuova, ma illudendosi che non serva averne una propria. Che basti metterne insieme pezzi pescati ovunque, come in una scatola di Meccano. Se però alla fine resta solo la comunicazione, non c'è talento o carisma di leader che possa surrogare l'identità collettiva. La parabola del laburismo inglese, dal grande comunicatore Blair a 'Mr. Bean' Brown, insegna. Ex comunisti italiani e, in parte, socialisti francesi - insieme a molti altri - hanno provato a emulare il neolaburismo, con i risultati che conosciamo. E con la destra che si riscopre 'sociale', rubando alla sinistra metodi, obiettivi e infine elettori.

In un mondo complessivamente più ricco ma molto più diseguale, prima o poi la sinistra dovrà riscoprire la necessità di se stessa. Fuori d'Europa lo si vede già. Qui da noi, non ancora, con la notevole eccezione di Zapatero. Quante altre batoste serviranno per accorgersene?
(09 maggio 2008)

postato da pd.montagnola

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